venerdì 19 agosto 2011

Abbiamo ucciso un orso (bruno)


Nemmeno il tempo, praticamente, di pubblicare il post precedente che mi sono imbattuto in un'altra triste storia con protagonista un orso.
Una storia che probabilmente in molti conoscono - e anche io, in effetti, ricordo quando è iniziata, perché se ne parlò in uno dei rari notiziari che ho seguito negli ultimi tempi, ma ne ignoravo invece il tragico epilogo - e di cui sono venuto completamente a conoscenza in questi giorni leggendo il libro Alpi segrete di Marco Albino Ferrari.
Una storia che mi ha lasciato letteralmente senza parole.
Una storia esemplare, come la definisce l'autore del libro.

Nella primavera del 2009 nel territorio del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi viene avvistato e fotografato un esemplare di orso. La notizia, per i gestori del Parco, una delle aree più selvagge e integre delle Alpi, è sensazionale e veramente gradita perché attesa da tempo.
All'orso viene dato il nome Dino, in onore di Dino Buzzati, autore tra le altre de Il deserto dei tartari e intellettuale impegnato, nato in quelle terre e amante delle sue montagne. Proprio a proposito degli orsi aveva scritto un giorno: "l'orso è anche avventura, leggenda, storia antichissima, cessata la quale ci sentiremo tutti un poco più poveri e tristi"
Ci si chiede da subito da dove proviene quell'esemplare perché non si tratta di uno dei ventotto presenti nel Parco dell'Adamello-Brenta, reintrodotti da qualche anno su progetto europeo, tutti muniti di radiocollare che ne fornisce puntualmente la posizione e che testimonia che sono tutti al "loro posto".
Dino quindi non può essere arrivato che dalla Slovenia, dove vivono quattrocento orsi circa, dopo aver viaggiato per centinaia di chilometri superando le Alpi Giulie, le Carniche, fino a raggiungere il Bellunese.
Diventa subito un simbolo e la sua storia tocca l'interesse di scienziati, studiosi e di curiosi, interessati a capire il perché del suo lungo viaggio.
Ma Dino inizia a far parlare di se anche per le sue scorribande a danno degli allevatori, che le subiscono: nel suo continuo spostarsi verso ovest si lascia dietro una scia di sangue: decine le pecore uccise. Non per mangiarle, ma come "per gioco". In particolare, si nota, che quasi tutte quelle uccise hanno il campanellino al collo, come se Dino ne fosse infastidito, e quindi volesse eliminarle, oppure, al contrario, inseguisse un gioco sadico godendo del piacere di sentirlo tintinnare mentre squartava la sua vittima.
Dino comincia a esser quindi considerato potenzialmente un mostro da molti, allevatori in primis naturalmente. Ma nel frattempo continua a spostarsi raggiungendo la zona di Primerio dove da il meglio (o il peggio?) di se: molte altre le pecore, per giunta alcune gravide, squartate e uccise.
L'ostilità nei suoi confronti monta. La convinzione che possa essere pericoloso anche per l'uomo si diffonde, nonostante sul web crescano anche gruppi pro-Dino, visto come simbolo della natura selvggia.
Si grida all'abbattimento ma non si può fare (per fortuna!): c'è una Convenzione Internazionale per la salvaguardia dell'orso sulle Alpi Orientali che detta regole precise. Si decide quindi di non abbatterlo ma di spaventarlo fortemente in modo che il ricordo gli rimanga ben impresso e si tenga alla larga dall'uomo e dalle sue attività.
Il 14 Ottobre del 2009 viene catturato dalla Forestale tendendogli una trappola proprio con una pecora sventrata e viene anestetizzato con una forte dose di narcotico. La visita del veterinario conferma che si tratta di un esemplare giovane e sano. Come sempre in questi casi (?) gli viene applicato un radiocollare con cui seguirne sempre la posizione col GPS. Un radiocollare affidabile e di lunga durata, senza nemmeno il dispositivo di apertura automatica a scadenza.


L'indomani, al suo risveglio, la gabbia viene aperta e Dino fugge via nel bosco inseguito dagli spari dei fucili dei forestali, caricati per l'occasione con proiettili di gomma, e dall'abbaiare rabbioso di alcuni cani anti-orso fatti arrivare appositamente dalla Siberia per traumatizzarlo. L'operazione viene ritenuta un successo.
E' autunno, l'inverno è alle porte. Di Dino non si vedono più le tracce sul terreno, ma nel monitor del GPS si: è sempre "in zona". Poi si spegne anche quello. Chissà perché. Forse, con l'arrivo della neve, si è rifugiato in una grotta per il letargo e il segnale radio non riesce a uscirne.

Torna la primavera, Dino si risveglia e ricomincia il suo cammino verso ovest. Attraversa boschi e radure, strade e ferrovie, e passa anche, di notte, non visto, vicino a importanti centri abitati e a zone frequentate: Bassano del Grappa, Asiago e Altopiano dei Setti Comuni, Recoaro.
Sul terreno, evidenti le sue tracce.
Non punta più alle pecore ora: la sua vittima preferita sono gli asini, ne uccide barbaramente diversi. Così come con le galline e, poi, le arnie, per cibarsi del delizioso miele. Le proteste di contadini e allevatori montano di nuovo, così come gli incitamenti alla salvaguardia della sua libertà da parte di cittadini e associazioni ambientaliste. Si aprono dibattiti sulle radioemittenti locali e sui social network, si scomoda il Ministro delle Politiche Agricole, il veneto Galan, per "difenderlo". I consorzi turistici sfruttano l'onda mediatica per promuovere il proprio territorio.
E' primavera inoltrata e Dino intanto è arrivato alle porte di Verona. Vede davanti a se la sconfinata e industrializzata Pianura Padana e saggiamente decide di fare dietro-front. Non è il suo ambiente.
Si rimette quindi sui suoi passi ripercorrendo praticamente la stessa strada di andata, come se l'avesse segnata sul terreno. Torna nei pressi di Asiago dove la comunità è abbastanza d'accordo sul fatto di abbatterlo, stavolta.
Improvvisamente però il radiocollare smette, stranamente, di inviare segnali. Di Dino non si hanno più tracce.
Qualche giornale locale allora diffonde la notizia (mai confermata) che Dino è stato ucciso. Molti animi si tranquillizzano.
Tuttavia, passano i giorni e Dino viene riavvistato più a est, sulle Alpi Giulie, poi se perdono di nuovo le tracce.

Siamo alla fine di marzo del 2011, quest'anno.
Dino si sveglia dal secondo letargo del suo viaggio che lo ha portato in Italia. Ora è di nuovo in Slovenia, nelle sue terre; viene avvistato lì. Ha ripercorso a ritroso la strada di andata ed è tornato "a casa".
Ma, guardando attentamente al binocolo, ci si accorge che c'è qualcosa che non va. E' evidentemente smagrito, molto più di un normale risveglio post-letargo, e cammina con un andamento incerto, quasi barcollante.
Non c'è dubbio che sia ammalato. Ammalato di rabbia. Per questo ora non ci sono "se e ma": va abbattutto, potrebbe contagiare.
Vengono caricati i fucili e Dino viene ucciso da un colpo secco di primavera.

Più tardi i veterinari si accorgeranno che non è stata la rabbia a ridurlo così.
E' stato il collare.
Gli è stato applicato un radiocollare con tutte le cure del caso ma si è stretta troppo la cinghia, senza tener conto che l'animale sarebbe cresciuto. E Dino é cresciuto, è diventato adulto. Il collare ha iniziato a stringergli la gola, a soffocarlo. Una morsa insopportabile.
Ha tentato in tutti i modi di toglierselo, strusciandosi sulle pietre e sugli alberi.
Niente.
Ha provato quindi a toglierselo con i suoi potenti artigli fino a quando non si è procurato una ferita al collo che si è infettata e lo ha debilitato in quel modo, riducendolo in fin di vita.

Una storia esemplare, appunto.

2 commenti:

  1. Solo la nostra specie sa combinare tale guai...bellissimo racconto grazie Riccardo come sempre, Manlio Spaccesi

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    1. Bellissimo un paio di p...e 3 orsi uccisi in 5 mesi e lo chiami bellissimo. Una merda di racconto. Caro anonimoi se arebbero ammazzo tuo figlio saresti stato contento????????????

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