sabato 22 ottobre 2011

Tutto scorre


Domenica scorsa, 16 ottobre, ho accompagnato 21 soci dell'Ass. Ettore Majorana di Orvieto a conoscere e percorrere per la prima volta la suggestiva Valle del Treja, dalle Fonti di Virginio (nei pressi delle più famose Cascate di Monte Gelato, che pure abbiamo visitato), da cui sgorga ancora l'originale acqua di Nepi - a quella imbottigliata, mi dicono, viene aggiunto un po' di gas - fino a Calcata, borgo medioevale dalla struttura per molti versi ancora integra e per questo di grande fascino e richiamo. Una lunga traversata sulla sponda sinistra del fiume Treja, affluente del Tevere, che ci ha riservato non pochi scorci davvero belli su questo caratteristico ambiente fluviale che da circa vent'anni è salvaguardato da un'area protetta, il Parco Regionale Valle del Treja, che fatica a reggere la pressione dell'alta frequentazione da parte della popolazione urbana della Capitale, molto vicina, ma soprattutto la mancanza di rispetto verso il proprio territorio da parte di qualcuno dei locali, che ha scelto, ad esempio, il bellissimo fontanile storico di Mazzano Romano per farne una piccola discarica.



Le Cascate di Monte Gelato - da cui purtroppo, da anni, a causa di una frana, non si può più partire a piedi per seguire il sentiero diretto a Calcata, se non si è disposti ad affrontare un (facile) guado a piedi nudi - sono uno dei luoghi più frequentati nei dintorni di Roma. Reclamizzate a destra e manca come una delle perle che non si possono perdere del territorio suburbano della Capitale da quando sono state scelte come set cinematografico di diversi famosi film negli anni 60, 70 e 80 (quando probabilmente erano davvero una perla ancora semisconosciuta), ogni weekend sono oggi frequentate da centinaia di persone che vi si riversano alla ricerca di un po' di natura, in fuga dal cemento della città.
Io me ne tengo alla larga più che posso (non vi facevo escursioni da anni e ci sono ritornato su esplicita richiesta degli amici orvietani), perché non amo l'affolamento in luoghi così belli che costringe a una fruizione mordi e fuggi di un sito di sicuro interesse naturalistico come quello, soprattutto se ci si allontana qualche decina di metri, seguendo il sentiero, dalle cascate vere e proprie.
Eppure non posso dimenticare che fu proprio lì che facemmo, seguendo le indicazioni di un articolo di giornale che ne parlava, con due compagni di liceo, io neo-patentato, una delle prime "fughe" domenicali con la macchina, per lasciarci alle spalle la città e le sue brutture, in cerca di natura e di aria pulita: i finestrini spalancati, il vento tra i capelli, le parole di una canzone in bocca e lo spirito avvolto dal sapore di libertà e indipendenza. Era su per giù l'autunno del '95. Non avevo idea a quel tempo di quello che sarei diventato dopo ma, di certo, quello che sono oggi era già "scritto" in quel diciottenne che, arrivato fin lì, si era messo a balzare da un sasso all'altro sulla sponda del fiume, per raggiungerne il posto più isolato e assaporarne fino in fondo - per riempirsi il cuore - la trasparenza di quell'acqua cristallina e il fragore del suo scorrere con le piccole rapide tra le rocce.
Tutto scorre.
Come un fiume, disse Eraclito.
Il fiume è sempre lì ma la sua acqua non è più la stessa e mai più lo è stata dopo quel momento.
Il Treja è sempre lì e le persone che lo frequentano oggi non sono più le stesse e, anche lo fossero, mai più lo sono state dopo quel momento.
Nuova acqua, nuove persone. E non così diverse da me, come ero a quel tempo.
Mi auguro davvero, perciò, che tra di esse ci sia di nuovo più di qualcuno che sappia apprezzare quei momenti trascorsi lì così come ne godetti io quel giorno e che possa, nel corso della sua vita futura, ricordarsene, prenderne spunto per "ritrovare il bandolo" di se stesso e ricavarne motivo di gratitudine, e di rispetto, nei confronti di Natura, come quella che oggi provo io.

1 commento:

  1. e già "Panta rei"...solo i bellissimi ricordi rimangono nel cuore e tutto qui il bandolo...Manù

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