martedì 10 maggio 2016

Camposcuoladivita


Campo scuola Parco Nazionale Foreste Casentinesi - 9-10 Maggio 2016

Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura. Ma la diritta via non fu smarrita.

Gli alberi sono sempre stati per me i più persuasivi predicatori. Io li adoro quando stanno in popolazioni e famiglie, nei boschi e nei boschetti. E ancora di più li adoro quando stanno isolati. Sono come uomini solitari. Non come eremiti che se la sono svignata per qualche debolezza, ma come grandi uomini soli, come Beethoven e Nietzsche.
Tra le loro fronde stormisce il vento, le loro radici riposano nell'infinito; ma essi non vi si smarriscono, bensì mirano, con tutte le loro forze vitali a un'unica cosa: realizzare la legge che in loro stessi e insita, costruire la propria forma, rappresentare se stessi.
Nulla è più sacro, nulla è più esemplare di un albero bello e robusto.
Quando un albero è stato segato ed espone al sole la sua ferita mortale, dalla chiara sezione del suo tronco e lapide funebre si può leggere tutta la sua storia: negli anelli corrispondenti agli anni e nelle escrescenze stanno fedelmente scritti tutta la lotta, tutta la sofferenza, tutti i malanni, tutta la felicità e la prosperità, anni stentati e anni rigogliosi, assalti sostenuti, tempeste superate. E ogni contadinello sa che il legno più duro e prezioso ha gli anelli più stretti, che sulla cima delle montagne, nel pericolo incessante, crescono i tronchi più indistruttibili, più robusti, più perfetti.
Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, conosce la verità. Essi non predicano dottrine o ricette; predicano, incuranti del singolo, la legge primordiale della vita.
Un albero dice: in me è nascosto un seme, una scintilla, un'idea, io sono vita della vita perenne. Unico è l'esperimento e il disegno che l'eterna madre con me ha tentato, unica è la mia forma e la venatura della mia epidermide, unica la più piccola screziatura di foglie delle mie fronde e la più piccola cicatrice della mia corteccia. Il mio compito è - nella spiccata unicità - dare forma all'eterno.
Un albero dice: la mia forza è la fiducia. Io non so niente dei miei padri, non so niente degli innumerevoli figli che ogni anno nascono in me. Vivo fino al termine il segreto del mio seme, non mi preoccupo d'altro. Confido che il divino è in me. Confido che il mio compito è sacro. Di questa fiducia vivo.
Quando siamo tristi, e non possiamo sopportare la vita, un albero può dirci: sta calmo! sta calmo! Guardami! Vivere non è facile, vivere non è difficile...
Così mormora il vento a sera, quando siamo angosciati dai nostri stessi pensieri puerili. Gli alberi hanno pensieri di lunga durata, di lungo respiro e tranquilli, come hanno una vita più lunga di noi. Sono più saggi di noi, finché non li ascoltiamo. Ma quando abbiamo imparato ad ascoltare gli alberi, allora proprio la brevità, rapidità e fretta puerile dei nostri pensieri acquista una letizia senza pari.
Chi ha imparato ad ascoltare gli alberi non brama più di essere un albero. Brama di essere quello che è.
Questa è la propria casa. Questa è la felicità.

[Hermann Hesse]


(Foto di E. Giuntelli; al Castagno Miraglia, ...500 anni o giù di lì)

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