domenica 15 novembre 2009

Sulla ex ferrovia Capranica-Civitavecchia



Due settimane fa, per la precisione il 31 ottobre, ho avuto l'occasione di accompagnare per conto di Four Seasons, affidataria del servizio di accompagnamento, e insieme a Ivan, anche lui Guida, un gruppo organizzato dall'ARP (Agenzia Regionale Parchi) nell'ambito dell'iniziativa Parco anch'io per un'escursione sul tracciato della ex ferrovia Capranica-Civitavecchia, sulla parte del vecchio sedime ferroviario che si trova nei pressi di Barbarano Romano e all'interno del Parco Suburbano Marturanum.



I tracciati delle ferrovie dismesse, in Italia così come molti altri Paesi, sono un patrimonio importantissimo, e molto rilevante in termini chilometrici, per quello che riguarda la "mobilità dolce". Sono itinerari che si svolgono per lo più in piano e che collegano il più delle volte località di interesse residenziale e/o lavorativo. Ci sono molti comitati, associazioni e movimenti che si battono per una riqualificazione in termini strutturali e di fruibilità di questi percorsi per ricreare, semplicemente attraverso il mero recupero senza dover costruire nulla di nuovo, una rete di mobilità alternativa a quella motorizzata (per pedoni, ciclisti, portatori di handicap, ecc) che permetta di collegare attraverso una percorrenza degli stessi con modalità di trasporto differente, anche centri non proprio vicinissimi ma che hanno dei rapporti reciproci. E' il movimento delle cosiddette Greenways (dentro cui comunque rientrano anche i sentieri, le mulattiere e le strade interpoderali che caratterizzano i nostri ambienti rurali e montani, e gli argini dei fiumi, spesso percorribili, come quello del Po, a piedi e in bicicletta per molti km).
Tra l'altro, è stato l'argomento della mia tesi di Laurea, con la quale ne ho analizzato i benefici economici per il nostro Paese.



Le Greenways, così come le Vias Verdes (in Spagna) o le Railway Tracks (USA e Regno Unito), e tutte le altre esperienze europee ed internazionali, sono un'ottima possibilità di recuperare un patrimonio di archeologia industriale interessante e di favorire una mobilità lenta (vincente sulle brevi distanze) che riporti l'individuo ad un rapporto più stretto con il territorio, cosa che non viene di certo favorita dai rapidi spostamenti in macchina che effettuiamo ogni giorno come modalità principale di spostamento.
E' ora di riappropriarsene e di tornare a valorizzare questi tracciati che sono stati dismessi proprio perchè scalzati in termini di opportunità dal progresso della tecnica e quindi dalla velocità dei collegamenti. Spesso erano treni lenti che collegavano località "minori", frequentati da pendolari e lavoratori o utilizzati per lo spostamento di particolari merci, ma erano un vero asse di comunicazione all'interno di quelli che altrimenti sarebbero rimasti territori rurali isolati.

Ancora oggi, le opere lungo il tracciato evidenziano che i lavori erano stati fatti con materiali di qualità e accorgimenti costruttivi di valore, come si faceva in tempi in cui si pensava si al presente ma anche al futuro, facendo cose che sarebbero dovute durare.
Tornare a frequentare questi percorsi significa dare valore ad una mobilità lenta, riappriorarsi del territorio godendone appieno, usufruire di un tracciato alternativo che potrebbe essere utile per raggiungere luoghi che ospitano le nostre attività, mantenere viva una presenza all'interno di territori di secondaria importanza dal punto di vista turistico ma anche apprezzare opere di ingegneria ben fatte e che ben si inserivano, da tutti i punti di vista, nell'ambiente che le ospita.

Nella fattispecie, questa ferrovia, aperta negli anni '20 del secolo scorso e chiusa alla fine degli anni '60 (in concomitanza con il boom dell'automobile e dello spostamento privato...) collegava Civitavecchia con Capranica e poi Orte, importantissimo nodo ferroviario dell'Italia centrale ancora oggi. Da qui, raggiungeva Terni e le sue acciaierie, destinatarie delle materie prime che arrivavano dal mare, allo stesso tempo luogo di sbocco del prodotto finale. Idealmente, il tracciato proseguiva fino ad Ancona, collegando così il Tirreno all'Adriatico.

Il tratto che abbiamo percorso si sviluppa, come detto, nei pressi del bel borgo medioevale di Barbarano Romano, su cui si aprono anche bei panorami, e ai margini del bosco della Bandita, che custodisce alcuni tratti del basolato dell'antica Via Clodia, che qui passava e valorizzava questi luoghi.



Tra vecchie stazioni in stile liberty e suggestivi tratti dentro a gallerie (oggi usate spesso dal bestiame come luogo di ricovero) il percorso, mai faticoso (perchè praticamente quasi sempre in piano o in leggerissima pendenza), compie due ampie curve aggirando Barbarano. Da qui poi si allontana raggiungendo Blera, Civitella Cesi e la stazione di Monte Romano (che in realtà si trova a 7 km dal centro del paese, dal quale i passeggeri raggiungevano la stazione a piedi...) nei pressi del quale è uno dei punti più interessanti del tracciato: quello cioè in cui la linea attraversa il fiume Mignone passando su un alto e imponente ponte di ferro (non toccando da noi in quella giornata, ma dove siamo stati in altre occasioni), su cui si affacciano, dall'altopiano tufaceo soprastante le rovine dell'antichissimo insediamento di Luni sul Mignone.

Un'altra valida idea dunque per una facile e interessante escursione, accessibile a tutti e, allo stesso tempo, un modo di contribuire al riutilizzo di uno dei più importanti e particolari siti di archeologia industriale delle nostre parti.

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