domenica 5 dicembre 2010

L'essenziale è invisibile agli occhi

Un'esperienza di vela-trekking con un equipaggio eccezionale

[articolo che ho scritto per la rivista AmbienteInFormazione, periodico trimestrale dell'Associazione Italiana Guide Ambientali Escursionistiche, uscito a Settembre 2010 sul n° 3 - Anno 12; pagg. 8-11]

[La barca all'ormeggio]

Succede che impieghi un anno ad organizzare, in collaborazione con l’Associazione Terre del Maestrale, una tua nuova proposta: il vela-trekking, per la quale hai scelto l’isola d’Elba come luogo in cui realizzarvi la prima assoluta.
Una proposta al suo anno zero, ancora non l’hai testata a fondo, anzi non l’hai testata affatto, ma ti solletica l’idea di abbinare mare e montagna e lo spostarsi su di essi nel modo più naturale che c’è: sfruttando gli elementi e le gambe; escursioni nell’entroterra, pernotto e spostamenti intorno all’isola in barca a vela.
Succede che, per pubblicizzare l’iniziativa, invii a tutti i tuoi contatti l’invito a partecipare e che i primi a rispondere sono un gruppo di conoscenti con una caratteristica non comune: sono tre non vedenti e tre ipovedenti, loro accompagnatori. La proposta li alletta: amano l’escursionismo e la vita all’aria aperta e vogliono provare per la prima volta l’esperienza della barca a vela. Chiedono di fare una settimana intera, tu hai impostato il programma solo per dei weekend, ma ripensi a quando, nel momento in cui li hai messi in lista tra i vari contatti, eri certo, senza alcun motivo tangibile, che proprio loro vi avrebbero preso parte.
Succede che, saputo questo, illustri – a denti stretti con una malcelata paura di partire davvero – l’eventualità allo skipper, Mario Bogo, tuo amico di lunga
data, che esita solo un attimo e poi ti dice (con un fil di voce, come a non far
sentire alle sue stesse orecchie le proprie parole): «Ci sto!».
Succede che i giorni volano, nemmeno il tempo di riordinare le idee, di capire da dove si comincia con una situazione del genere, ed è il momento di salpare. Pensi, in cerca di qualche rassicurazione, che in fondo li hai accompagnati in escursione tutti insieme già una volta, anzi, quattro di loro c’erano, gli altri due che si sono aggiunti invece non li conosci. Era andata bene, ti eri fatto un’idea delle persone, gente in gamba, tosta, abituata a difficoltà ben maggiori che ad una lunga sterrata sotto il sole e un paio di facili guadi. Ma eravate due Guide, mentre stavolta sarai da solo in escursione con tutti loro. Per di più, conoscevate il percorso la volta scorsa, dell’Elba invece conosci qualche itinerario che ti sarebbe servito, tra programmi ufficiali e alternativi, a coprire i week-end. Invece ora, per realizzare una settimana intera, stando anche alle bizze del tempo e del mare, che obbligano sempre a più di un cambiamento di programma (ed è proprio qui, raccontavi fino a ieri, il bello di questo tipo di proposta), con un gruppo così, dovresti conoscerla come le tue tasche l’isola...


[Freedom: quale altro nome possibile?]

Che fai, allora? Lasci stare e mandi tutto a monte perdendo la possibilità di fare, forse, una delle più belle, se non la più bella e intensa esperienza umana e professionale da quando hai intrapreso l’attività di Guida?
Succede, un giorno di luglio, che decidi che si farà.

E, prima di uscire dal tran tran della conduzione di piccolo cabotaggio ed imbarcarci in avventure particolari, certo più remunerative sotto ogni profilo, cerchiamo – al di là delle necessarie acquisizioni tecniche – di capire chi siamo in relazione a un gruppo, cosa vorremmo essere e cosa siamo disposti a sacrificare per diventarlo. Inoltriamoci insomma in una seria riflessione sulla conduzione.... [Marco Fazion, Prima che venga il lupo, Città di Castello, 2006, Monte Meru Editrice, I Quaderni dell’Aigae, pag 21; ndr]

[...l'importanza di conoscere i nodi!]

Non sono uscito definitivamente dal tran tran della conduzione di piccolo cabotaggio – non è possibile uscirne se vuoi campare di questo lavoro – ma questa è stata di certo un’avventura particolare molto remunerativa dal punto di vista umano, in cui mi sono imbarcato (il termine è più che adeguato in questo caso...) senza pensarci troppo su ma con il solo obiettivo di condurre a buon fine la settimana facendo appello a tutto quello che ho appreso in questi sei anni di attività e, soprattutto, al desiderio di fare in modo – come sempre – che anche per i miei accompagnati
fosse stata un’esperienza unica e, probabilmente, irripetibile.
Questa esperienza è stata per molti versi un’esperienza ‘limite’ – ma, tutto sommato se sono qui a scriverlo, fattibile - e si è concretizzata casualmente proprio il giorno dopo una riunione tra Guide a cui ho partecipato e in cui si è discusso sulla opportunità o meno di condurre escursioni su territori sconosciuti anche alla Guida stessa.
Molte Guide non se la sentono di condurre gruppi in luoghi in cui prima non sono state per verificarne la fattibilità. E’, naturalmente, una scelta legittima che dipende da quattro fattori e fondamentalmente: il primo, dal tipo di iniziativa in essere (molti di noi lavorano solo con escursioni giornaliere); il secondo, dalla conoscenza che si ha del gruppo che si sta conducendo (nei ‘giornalieri’, è pressoché nulla); il terzo, dalla presenza o meno di una rete di sentieri ben tracciata, evidente al suolo e presente in carta (in Centro-Sud Italia è una lotteria); e, il quarto – il più importante, su cui ognuno dovrebbe riflettere tra sé e sé – in definitiva, sulle reali responsabilità che vogliamo assumerci alla guida di un gruppo (capire chi siamo in relazione a un gruppo, cosa vorremmo essere e cosa siamo disposti a sacrificare per diventarlo).
Comunque sia, ognuno sceglie in che ambito operare. Io credo che, per molti motivi, sia buona cosa prepararsi per essere in grado di scegliere un po’ di ‘avventura’ ogni tanto anche con il gruppo al seguito. Tutto il contrario, dunque, dell’agire da sconsiderati. Racconto quindi qui la mia ‘avventura particolare’ – tralasciando le tante emozioni provate nel corso di quella settimana, indescrivibili come lo è il mare a chi non lo ha mai potuto vedere in vita sua – e, dato che siamo sull’organo di informazione dell’associazione delle Guide, approfitto di questo spazio concessomi per illustrare come ho personalmente affrontato dal punto di vista tecnico le situazioni critiche derivanti dalla conduzione di questo tipo di gruppo, che potrebbero tornar utili a qualcun altro in futuro, desideroso anche lui di intraprendere ‘avventure’ di questo tipo.


["...sentire la barca scivolare sileziosa sull'acqua a vele spiegate..."]

Premessa: anche se nessuno di noi ‘vedenti’ ha idea di cosa possa significare vivere una vita intera senza le facoltà derivanti dal principale dei nostri sensi, il termine ‘non vedenti’ è chiaro a tutti. Non così quello di ‘ipovedenti’. La categoria degli ipovedenti comprende una cerchia, purtroppo, molto ampia di persone,
che non sono molto miopi, come verrebbe subito da pensare, ma che hanno invece delle importanti limitazioni in termini di campo visivo, percezione dei contorni e/o distinzione delle luci e dei colori, situazioni spesso, purtroppo, degenerative col passare degli anni.
Non vedenti e ipovedenti, globalmente considerati, sono persone per le quali anche quel mezzo metro che separa la passerella, per lo più instabile, della barca al molo quando la barca è all’ormeggio, diventa subito un ostacolo importante per scendere a terra e che, in quanto tale, richiede per il suo superamento molta attenzione e molto impegno, mentre per noi si tratta di un semplice saltino: hop!
Detto ciò, è importante invece dire che questo era davvero un gran gruppo, formato da persone che non si fermano davanti a nulla e che per molti versi è stato più facile accompagnare loro che un gruppo di ‘turisti della domenica’!


[Vela-trekking: dalla spiaggia verso i monti!]

Venendo al dunque: la prima escursione che abbiamo fatto all’Elba è probabilmente
una delle più impegnative dell’isola non solo per questo tipo particolare di utenza (percorso molto ripido e sconnesso con terreno molto sdrucciolevole e sentiero, a tratti, in contro-pendenza). E’ uno degli itinerari che conoscevo già e l’abbiamo fatto per primo proprio come test per tutti in previsione delle giornate successive. Come avevo previsto, per condizioni oggettivamente difficili, non siamo riusciti a condurla a termine: vista la palese difficoltà del gruppo in alcuni tratti, a due terzi del percorso, sotto la vetta di Monte Castello, ho optato per la rinuncia a proseguire. Il gruppo è stato d’accordo con me che ci sono dei vincoli (e, intendo dire, non dei ‘limiti’, i quali si superano) nelle vite di tutti noi che non è il caso di forzare e che il saper rinunciare a volte ci fa più grandi del decidere di proseguire. Nei tratti più impegnativi di salita avevo impostato la formazione in modo tale da mettere dietro di me la partecipante non vedente con meno esperienza e, di seguito, alternati, un ipovedente e un non vedente con, in coda, il più in grado di vedere degli ipovedenti. Tutti in fila indiana con una mano sullo zaino di quello che precedeva e io che scandivo il passo accompagnando con una sorta di telecronaca per descrivere la miriade di ostacoli, piccoli e grandi, che ci si ponevano di fronte: «sasso sulla destra... rovo a sinistra... attenzione: ramo basso, chiniamoci un po’... gradone... ora un tratto dal fondo comodo... sasso a sinistra...». Ciò non ha comunque evitato nei punti davvero impegnativi, soprattutto in discesa, che io dovessi fare da ‘traghettatore’ di ognuno di loro per superare brevi tratti. A fine giornata, si può immaginare, ero stravolto, ma si immagina anche la sensazione di gioia profonda per quello che, insieme, stavamo facendo.
La criticità certamente più evidente anche a tutti coloro che stanno leggendo, e quindi la responsabilità più grande che mi sono assunto, è che ero da solo in escursione con loro. Un eventuale venire a mancare della mia capacità di vedere, causata ad esempio da un trauma cranico con perdita di coscienza per una caduta, avrebbe messo l’intero gruppo in seria difficoltà. A tale evenienza ho pensato di mettere (parzialmente) rimedio con una approfondita illustrazione iniziale di quello che era l’equipaggiamento a disposizione del gruppo per le emergenze: nel mio zaino avrebbero trovato una fornita cassetta di primo soccorso; alla cintola portavo la radio (che hanno imparato ad usare ancor prima di partire), con cui eravamo in costante contatto con lo skipper in barca; quest’ultimo era adeguatamente informato sull’itinerario percorso da noi quotidianamente e sulla tempistica percui, se l’avessimo sforata di un certo limite, sarebbe stato autorizzato ad allertare i soccorsi; e, naturalmente, ho dato loro tutti i numeri di cellulare utili, da quello dello skipper alle forze dell’ordine. Nei nostri zaini, inoltre, portavamo sempre una quantità d’acqua in più e di alimenti in grado di confortare il gruppo, alla
necessità, per diverse ore. E poi... ho consigliato loro di pregare molto, in caso di
un’eventualità del genere...


[Ascoltare il panorama]

Per quanto mi riguarda, nel corso delle escursioni non nascondo di essermi affidato
anche alle (scarse) facoltà visive dei due ‘meno ipovedenti’ – sono comunque persone che vivono la propria vita di tutti giorni in autonomia – e, tuttavia, la cosa che più mi ha tenuto in apprensione in quei giorni è stata l’eventuale necessità di evacuazione rapida da una zona causa incendio. In effetti, trovarsi con 6 persone non pienamente indipendenti all’interno di un bosco di macchia mediterranea, praticamente una miccia in grado di divampare in una frazione di secondo, durante la
settimana in assoluto più calda dell’anno, è senz’altro il rischio maggiore che ho corso. Vi assicuro, però, che ne è valsa la pena.


["...il riconoscimento tattile dei vari tipi di piante..."]

Ci vorrebbe ancora altrettanto spazio a disposizione per parlare delle esperienze sensoriali di interpretazione ambientale fatte nel corso delle escursioni, come ad esempio: il riconoscimento tattile dei vari tipi di piante e rocce, l’ascolto del richiamo dei rapaci in volo e l’individuazione in lontananza di gruppi di mufloni e capre selvatiche a seconda della provenienza del loro belato. O, ancora, la percezione del navigare sotto costa all’intensificarsi dei profumi della rigogliosa macchia mediterranea dell’isola e il taglio dell’aria dei gabbiani quando volavano vicino alla barca...
Altrettanto ancora per raccontare molto altro, tutta la vita in barca ad esempio e
il loro personale rapporto con il mare: l’ebbrezza dei tuffi in mare aperto per la
prima volta, del sentire la barca scivolare silenziosa sull’acqua a vele spiegate...
A fine settimana, prima di congedarci ci hanno ringraziato molto. Noi, dal canto nostro, abbiamo ringraziato molto loro: ci hanno manifestato in ogni circostanza
che cosa è il coraggio di vivere quotidianamente con gioia partendo dalla propria, individuale, condizione e ci hanno dimostrato veramente cos’è la Fiducia, con la effe maiuscola, cioè la fede e, dunque, l’affidamento.
Ho ricevuto molto in quella settimana e sono grato per questo. Mi sono messo molto in gioco e ho avuto come risposta qualcosa di inestimabile valore.
Il vero viaggio di scoperta non è visitare nuove terre ma guardare con nuovi occhi disse Proust. Condivido.

[La costa nord dell'isola, dal massiccio del Monte Capanne]

1 commento:

  1. una grande profonda gioia vedere questa intuizione prima e questo progetto poi prendere forma e vita...è il punto di avanzamento di una linea già pionieristica ;D ad maiora TB

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