lunedì 3 maggio 2010

Foreste Casentinesi



C'è un luogo in Italia che come nessun altro si considera per rappresentare la ricchezza di un bosco. Ricchezza materiale e spirituale essendo stato il bosco sempre considerato sinonimo di vita, visibile e invisibile; nonché fonte di gioia e di paure ancestrali. Casa degli dei e delle ninfe, di elfi e gnomi, di streghe ed esseri malvagi; fonte inesauribile di risorse alimentari ed energetiche.
Qui la foresta ci ricorda di essere stata la prima forma di "area protetta" quando ancora di parchi e di protezione dell'ambiente non esisteva nemmeno il concetto. Sto parlando dei primi decenni intorno al Mille quando furono emanati i primi Codici di gestione forestale camaldolese che normavano rigidamente il comportamento dei monaci nell'uso della foresta e del territorio. Sto parlando delle Foreste Casentinesi. Del luogo dove ogni albero, ancora oggi, conserva l'energia del legame tra cielo e terra che ne ha motivato la presenza e sostenuto la crescita.



Abbiamo qui accompagnato due classi di scuola media in un campo scuola di tre giorni, la settimana scorsa. Ragazzi della periferia di Roma che magari viaggiavano da soli per la prima volta. Qualcuno non aveva mai visto la neve: facile immaginarne lo stupore alla vista di residui nevai nelle zone d'ombra del bosco.

Abbiamo provato, per poche ore, a far staccare i ragazzi dal loro mondo, dal nostro mondo, di cose da fare e di stimoli, il più delle volte, ridondanti. Abbiamo provato, per un po', a farli semplicemente stare. A farli ascoltare, quello che un bosco ha da "dire".
E, secondo me, con l'aiuto di questi boschi, in fondo in fondo, ci siamo riusciti.

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