venerdì 7 dicembre 2012

A piccoli passi


Preso da questo periodo di convalescenza forzata non mi sono più reso conto della dimensione del tempo. Siamo quasi a Natale e non me ne sono praticamente accorto.
Oggi è ufficialmente un mese che sono "bloccato" e questo mese è passato senza che mi rendessi conto di tante cose. Allo stesso tempo però sono accadute - e stanno accadendo - tante cose grandiose.
La mia vita di questo periodo sembra essere all'apparenza abbastanza limitata e caratterizzata da routine. La giornata è scandita, più o meno, dalle esigenze di riposo/ripresa e dalla "terapia" che sto seguendo. E ho perso (in parte) la cognizione del tempo perché sono completamente immerso nel suo scorrere, senza preoccuparmi di quel che sarà dopo.
La mia vita si sta svolgendo perlopiù in un'area compresa all'interno in un paio di km di raggio. Esco di casa e mi sposto poco, raggiungo la farmacia o il negozio di alimentari o faccio una passeggiata fra i campi del circondario. Il tutto quasi unicamente a piedi. Ho fatto benzina alla macchina praticamente un mese fa e, per la prima volta da anni, è ancora tutta lì.
Non sto lavorando - meglio: non sto producendo un introito immediato - ma, nel contempo, sto spendendo praticamente nulla. Il "bilancio" quindi è in pareggio, o quasi. Ad ogni modo è certo che avere più denaro non mi cambierebbe nulla, in questo momento. Non c'è niente che valga più del tempo che abbiamo a disposizione.
Approfondisco la mia Fede e studio quello che ho voglia di approfondire. Ascolto musica e canto sulle note di essa.
Oggi è giusto un mese che non vado in città, a Roma. E' la città in cui sono nato e vissuto fino a poco tempo fa ed è la prima volta che ne sono consapevolmente distante per così tanto tempo. Non ne sento la mancanza e, anzi, quasi spero di tenermi ancora per qualche giorno un po' lontano dal delirio che la caratterizza, soprattutto - immagino - in questi giorni prima delle feste.
Scrivo, leggo e comunico da giorni stando vicino al crepitìo del fuoco, che riscalda come niente altro, se si esclude la presenza delle persone care.
Qui fuori la vita sembra essere sempre uguale a se stessa. Gli alberi sono sempre lì, immobili. L'erba è ancora di quel bel verde lucido donatole dalle pioggie autunnali; le prime gelate notturne non sono ancora riuscite a scalfirlo, se non imbiancandolo un po' di prima mattina. L'allocco si fa sentire a gran voce nel bosco, la sera, e fa una gran compagnia. Risuonano anche gli spari dei cacciatori in lontananza, a ricordare, giustamente, che non tutto è rose e fiori.
Sembra tutto immobile. Ma non lo è. D'altronde, il sole per primo attraversa il cielo con un cammino ogni giorno più corto. E continuerà così almeno per un altro paio di settimane ancora prima di riallungare il suo tragitto. Che, quindi, non è mai lo stesso.
I miei capelli sono veramente lunghi e piuttosto "trasandati". Avrei voluto e dovuto tagliarli un po' addirittura prima della fine di ottobre ma ho rimandato e, per ovvi motivi, non ho più avuto modo di farlo. Nonostante ciò, ora mi ci sento a mio agio così. Sembro un selvaggio. ...Sono selvaggio. Sono quanto di più vicino sarei se fossi su un'isola deserta. Quindi sono autentico: come sarei in effetti - e lo sono - stando a stretto contatto, fisico o comunicativo, solo con le persone che vorrei avere al mio fianco.
Mi spoglio davanti allo specchio e, nonostante non stia facendo alcun tipo di attività fisica da diverse settimane e la mia vita si possa definire senza alcun dubbio sedentaria, vedo un fisico atletico, i muscoli tonici. I polpacci e i quadricipiti sono "in tiro", pronti a partire in qualunque momento e portarmi, eventualmente, lontano.
Mi guardo negli occhi - quegli stessi occhi in cui è passata qualche giorno fa l'ombra della paura - e vi scorgo determinazione. La mia. Mi sorrido, confortato.
Sono un leone appartatosi e accucciatosi nel folto della savana in attesa di spiccare il balzo al momento opportuno.

In questi giorni mi è risuonata in testa più volte la frase che diversi anni fa ho sentito pronunciare da un medico in TV: "non c'è ospedale migliore di un corpo felice". Più volte mi son detto: "allora, dunque, non sei felice!". Prima di affliggermi con risposte affrettate e superficiali ho realizzato di nuovo, però, che la felicità è uno stato vitale che va coltivato e che, in quanto tale, dipende solo da noi stessi. La sto coltivando. E sono felice.

Apparentemente, quindi, non manca nulla, a parte la salute.
Anzi, a guardar bene, non manca nemmeno quella.

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