mercoledì 9 marzo 2016
L'uomo che potava gli alberi
Potrebbe essere questo il titolo di un romanzo autobiografico, che si richiami al best seller di J. Giono.
Tutto è cominciato qualche anno fa, con un corso di potatura dell'olivo, a cui volli iscrivermi per approfondire aspetti della pratica agricola, che ritenevo - e ritengo ancora - utili in ottica presente e futura.
Sin da bambino sono stato attratto dagli alberi, mi piaceva (e mi piace ancora) arrampicarmici e star lì su a guardare il mondo da quella posizione privilegiata. Neanche a dirlo, il Barone Rampante è uno dei racconti che preferisco, letto già due volte e non escludo la terza.
Da sempre, da quando sono stato in grado, ho aiutato mio nonno e mio padre nella raccolta delle olive e, tanti anni fa, anche nella raccolta delle ciliegie, nel campo che mio padre ebbe in proprietà per un po' di tempo. Insomma, gli alberi mi hanno sempre affascinato e interessato.
La potatura degli alberi, in particolare di quelli da frutto, se si vuole farla bene, come tutte le cose, è una questione seria.
Richiede la conoscenza di concetti di biologia e fisiologia vegetale, in parte di tecniche agronomiche e, soprattutto, l'instaurarsi di un rapporto individuale con la pianta. E' necessario conoscerla e comprenderla.
Infatti, una potatura mal fatta può causare danni, alla pianta in questione e pure all'uomo, il quale, ad esempio, potrebbe beneficiare di più scarsi raccolti di quelli che potrebbe altrimenti ottenere.
E' una credenza superficiale, quindi errata, relegare la potatura al "taglio di rami". Il raccorciamento e il diradamento dei rami attraverso tagli e asportazioni dei medesimi è solo una delle tante tecniche di potatura, che comprende molte altre pratiche, la maggior parte delle quali si fa senza strumenti da taglio e nel corso dell'intero anno biologico di un'essenza vegetale.
...guai a dirlo a tutti quei sedicenti contadini, spesso - ahimè - coi capelli bianchi, che, armati di forbici (il più delle volte, ormai, avveniristiche, che tagliano "da sole", anche rami di un discreto diametro), rapano quasi a zero piante e a volte, succubi della propria impazienza, del dover fare comunque qualche cosa, oltre a tagliare troppo, tagliano anche troppo presto, sottoponendo poi la pianta al ritorno, o addirittura al primo arrivo, di geli invernali, che non fanno bene a un albero ferito e pieno di tagli.
La potatura non serve alla pianta. Smettiamo di raccontarcelo per giustificare le nostre azioni. La potatura serve all'uomo, perché è una delle modalità di allevamento delle piante stesse, a fini economici più o meno espliciti. Pertanto, deve puntare al raggiungimento di un equilibrio tra le esigenze fisiologiche della pianta e quelle del suo allevatore, di ottimizzare i raccolti e di muoversi agevolmente in campo e tra i rami della medesima per tutte le opere.
Piante potate troppo e male si allontanano dal proprio sviluppo naturale e divengono, tra l'altro, meno sane e più brutte da vedere.
Tutto è iniziato con quel corso sulla potatura dell'olivo. Ho avuto un ottimo maestro, peraltro, curiosità, anche lui una GAE.
Poi mio nonno, su mia richiesta, mi concesse di potare da solo uno degli alberi nel suo orto. Il risultato fu ottimo, sia dal punto di vista estetico e salutare per l'albero, che da quello produttivo, con un'ottima risposta della pianta alla fruttificazione dell'autunno successivo. Anche lui fu contento e la cosa mi fece piacere, dato che in quella situazione era mio onere dimostrare, da nipote cittadino quale ero, che ero in grado di farlo e bene.
Ho poi continuato a esercitarmi e a praticare, dove e quando fosse possibile.
L'anno scorso, in paese, fermavano per strada mio padre per chiedergli chi gli avesse potato gli olivi, tanto li ritenevano ben fatti anche quegli stessi abitanti di campagna da sempre.
Tutto rigorosamente e completamente fatto "a mano", con le forbici tradizionali (non pneumatiche) e la sega, che a fine giornata i muscoli di mano e braccia si fanno sentire.
A ogni pianta è dedicato il suo tempo, che sia un minuto, un'ora o un giorno intero, rispettando il principio che il miglior potatore è quello che fa il minor numero di tagli possibile. Tutto il contrario di un'attività produttiva secondo i canoni dell'economia tradizionale della massimizzazione economica del costo orario della manodopera.
Le si sta cambiando il futuro alla pianta ed è necessario che si facciano le cose a modo. Con Rispetto della vita, in quella che è una delle sue molteplici, bellissime, forme.
Cammino per i sentieri tra i campi - a volte occhiate fugaci mentre guido in auto - e osservo gli alberi intorno a me, potati e non. Cerco di coglierne l'esigenza, di carpirne le intenzioni di crescita, la personalità. Osservo quanto fatto o non fatto dal potatore. Imparo e rifletto e, a volte, pure, mi trattengo dal fare un taglio o una piegatura o una scacchiatura che ritengo andrebbe fatta. Non mi porto dietro le forbici perché, appunto, finirei per fare come il protagonista del racconto di J. Giono, a girare per i campi, silenzioso e inesorabile, a potare gli alberi del mondo, col rischio di incappare un giorno nel proprietario furioso, nel cogliere in flagrante uno che gli sta toccando i propri.
E mi viene sempre un colpo al cuore a vedere quelle improbabili capitozzature che vengono fatte agli alberi cittadini, moncandogli gran parte delle branche principali e dei rami cresciuti su di esse.
Ho iniziato con l'olivo e quest'anno mi sono applicato anche con gli alberi da frutto.
Pochi tagli, decisi e risoluti, a impostare qualcosa di buono. Come, mi auguro, i frutti che vedevo crescere da questa o da quella gemma e che presto, ne sono certo, raccoglierò.
[nelle foto, olivi nel campo di mio padre, dopo la potatura dello scorso anno]
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