giovedì 15 dicembre 2011

Momento di evasione


Si fa un gran parlare negli ultimi tempi (giustamente) dell'importanza di contrastare quel fenomeno drammaticamente imponente, tipicamente italiano, che è l'evasione fiscale e delle modalità con le quali attuare un valido contrasto.
Si sente dire spesso che la soluzione potrebbe essere "il modello americano" - che, premetto, non conosco quasi per nulla - che prevederebbe, da quanto ho capito, che i cittadini, lavoratori autonomi o dipendenti che siano, possano detrarre dal reddito imponibile praticamente quasi tutte le spese sostenute. In tal modo, si dice, il consumatore è invogliato (?!) a farsi fare la fattura dal venditore perché così può, in sostanza, alla fine pagare meno tasse perché il reddito imponibile verrebbe diminuito dalle spese sostenute.
Premesso appunto che non so quanto di questo corrisponda effettivamente al vero e premesso che all'università, nel mio personalissimo piano di studi del Corso di Laurea di Economia e Commercio, non ho nemmeno inserito uno degli esami canonici quale è Scienze delle Finanze, che di questo tratta, ho la sensazione che la cosa che dovremmo copiare dagli americani (e non solo da loro) è che l'evasione fiscale debba essere considerata da tutti, singoli cittadini e amministrazione pubblica, come un crimine al pari - quasi - dell'omicidio e di tanti altri molto gravi.
Pare che non se ne sia reso conto nessuno, e questo è il problema, ma il sistema fiscale americano, o il presunto tale, è un sistema che forse risolverà pure il problema dell'evasione ma ne crea a priori uno molto più grosso che è la causa della crisi che sta affliggendo il pianeta. Tale meccanismo fiscale porta infatti a un aumento dei consumi attraverso l'acquisto del futile: siccome - purtroppo - il concetto di pagare le tasse non piace a nessuno a prescindere, soprattutto nei Paesi in cui il ritorno in termini di servizi alla comunità è scadente in proporzione a quanto incassato dalla Stato, il consumatore, davanti alla possibilità di pagare meno tasse scaricandosi una spesa sostenuta nell'immediato ("meglio un uovo oggi che una gallina domani"), è portato ad acquistare quella determinata cosa anche se non ne ha effettivamente bisogno. Tipico, e già in voga da tempo, l'esempio nostrano del professionista che cambia la macchina ogni tre anni, quando scade il leasing, anche se la macchina in se potrebbe girare per altri 10 anni.
E infatti, gli statunitensi sono un popolo stra-indebitato perché, pur di acquistare (e detrarre), sono disposti a comprare anche a debito, cioè senza avere effettivamente i soldi per farlo.
Dunque, alla fine della fiera, non mi sembra un modello amministrativo da imitare, ne tanto meno risolutivo rispetto ai tanti problemi che abbiamo riguardo alla gestione delle risorse di questo pianeta, la cui propensione all'evasione fiscale dei cittadini dei paesi meno lungimiranti e, letteralmente, più parassitari è solo un minimo aspetto.
Se fossimo delle persone e delle comunità avvedute (come qualcuna in giro per il mondo è) avremmo addirittura piacere a pagare le tasse (utilizzando poi bene le risorse che ne deriverebbero) perché esse costituiscono il contributo che si da alla vita della comunità stessa e quindi del singolo. In un sistema fiscale equo e ben funzionante - questo dovrebbe essere l'obiettivo -, le imposte non sono un dazio: sono un'opportunità.
Immaginare di potersi affrancare dalla corresponsione di una parte del proprio contributo alla vita comunitaria facendo leva su un sistema di prelievo del medesimo che incentiva un consumo inutile delle risorse (limitate) su cui la comunità stessa può fare affidamento per la sua sopravvivenza, non mi sembra, a naso, un metodo opportuno e, men che mai, risolutivo di un qualcosa.
Si può fare senza dubbio di meglio. Come ad esempio iniziare a rendersi conto che sia all'uovo di oggi che alla gallina di domani stiamo qui a pensarci con la pancia piena, e che ciò non è per nulla scontato.
Tutto il resto verrà per conseguenza.

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