domenica 12 maggio 2013

Il giardino della biodiversità



Da quando siamo venuti ad abitare nel luogo dove attualmente viviamo, qualche anno fa, abbiamo da prenderci cura di un piccolo giardino, una striscia di terra, che cinge la casa su due lati. Il giardino è costituito da terra di riporto che i costruttori – gli stessi proprietari della casa – hanno appunto lì accumulato al tempo della costruzione dell'edificio, per riempire l'area che costituisce oggi il nostro giardino.
Entusiasti di poter esercitare un po' il pollice verde, il primo anno che siamo arrivati spendemmo una cifra non indifferente per l'acqua che avevamo utilizzato per innaffiare il giardino d'estate, nel tentativo di far venire il "pratino all'inglese". Ma, niente da fare: il suolo su cui stavamo cercando di far nascere qualcosa era quasi inerte e aveva un colore chiaro, molto poco vitale e molto "desertico", che certo non suscitava una sensazione di fertilità. L'acqua utilizzata per l'innaffiamento non veniva ssorbita per nulla dagli strati superificiali, ma transitava come se la terra fosse un filtro a maglie larghe, senza lasciare traccia di umidità nel terreno, già da qualche ora dopo aver innaffiato.
Nel frattempo, i nuovi vicini insediati, appena arrivati, avevano fatto ricoprire il proprio giardino, confinante con il nostro e costituito inizialmente dalla medesima terra di riporto, con nuova terra, buona e adatta alla crescita della vegetazione: sebbene non avessero poi così tante più accortezze nei confronti del loro pezzettino di terra rispetto a noi, nel loro giardino il prato cresceva verde, fitto e robusto, mentre il nostro era veramente rado e debole. Obbiettivamente, non potevamo nemmeno definirlo prato: erano ciuffi d'erba sparsi qua e la, ai quali, per il secondo anno ancora, mi incaponivo a dare acqua, nel tentativo di "rianimarli".
Dopo l'ennesima stagione di insuccessi, decisi, mettendo in pratica lo spirito di osservazione maturato negli anni di svolgimento della mia professione a contatto con la natura, di fare qualcosa per tentare di far diventare suolo vero quello che chiamavamo suolo e che, in fin dei conti, lo era solo nella misura in cui potevamo camminarci sopra.
Cominciai con il non raccogliere più del tutto le foglie cadute in autunno dagli alberi e di lasciarle in parte a macerarsi al suolo lentamente, fornendo così un po' di materia organica alla terra. Quello cioè che, in sostanza, accade in un vero bosco, dove nessuno passa giornate intere a raccogliere le foglie (e vi assicuro che bastano tre querce di medio piccole dimensioni per dover dedicare un tempo del genere alla cosa) le quali rimangono al suolo, che, non a caso, è il più fertile che si conosca. Decisi poi, nella stagione calda, di non incaponirmi più nel buttare inutilmente acqua nel tentativo di innaffiare un terreno che aveva più somiglianza con il deserto che con la campagna del Centro-Italia. Insomma: cominciai un po' a lasciar fare di più alla natura.
Nel frattempo, l'erba del vicino era sempre più verde ma, nonostante ciò, sentivo che stavamo mettendo delle cause importanti con queste azioni, anche perché lui ora spendeva molto più tempo ed energie di me nella raccolta delle foglie, nel taglio dell'erba, nell'innaffiamento. E' vero che lui è pensionato e forse la cosa lo aiuta anche a passare un po' il tempo ma la spesa energetica individuale e la spesa economica la sosteniamo comunque tutti ugualmente e, appunto, un bosco sta in piedi da solo e da solo si autosostiene, senza che nessuno stia lì a tagliare l'erba o innaffiare.
La stagione successiva dopo aver preso queste decisioni il risultato obiettivamente era impercettibile, anche se, lo ammetto, ingenuo (o, forse: entusiasta) come solo io so essere, pensavo che avrei visto qualche cosa di altro da subito. Invece no: avevo avuto modo di verificare che ci vuole pazienza.
Tornati l'autunno e l'inverno, ho ritardato ulteriormente la rimozione delle foglie e ne ho tolte ancora di meno quando l'ho fatto. Ho cominciato a limitare il taglio dell'erba in primavera mentre continuavamo a piantare qua e la qualche bulbo per i fiori e qualche vivace piantina colorata. Ispirato dalla rilettura degli scritti di Fukuoka sui principi sacrosanti dell'agricoltura naturale, ho anche seminato a spaglio un po' di trifoglio che è una leguminosa e che quindi è capace di fissare l'azoto nel terreno prendendolo dall'aria, caratteristica che ne fa una pianta miglioratric delle caratteristiche del suolo. L'ho fatto prima di una settimana di pioggia ed attecchì benissimo, tanto che il nostro manto erboso si ricoprì in breve di un bel tappeto di trifoglio basso fitto.
Giunta l'estate, nei giorni di gran caldo, mi sembrava che il prato riuscisse a reggere di più l'impatto della calura estiva, qualche ciuffo d'erba in più in effetti riusciva a sopravvivere. Nel frattempo, notavo un certo disimpegno da parte del vicino, che cominciava a chiedermi perché avessi smesso di raccogliere le foglie e avessi ridotto la frequenza dell'innaffiamento, quando anche lui notava che il suo prato cominciava "a cedere" non appena lui cedeva un po' il passo alla pigrizia (o, forse, all'aumentare dei costi dell'acqua).
A fine stagione mi accorsi che anche lui aveva ridotto moltissimo la frequenza di innaffiamento e che la sua erba cominciava ad essere sempre meno verde, nonostante la bontà del terreno su cui aveva la possibilità di crescere.
Al tramonto era il momento in cui mi fermavo appositamente a osservare il nostro giardino e la campagna circostante. Pensavo che all'apparenza stavo occupandomene di meno ma dentro di me sentivo che invece stavamo mettendo delle cause importanti per un grande risultato futuro. Maturava in quei giorni in me sempre più forte l'idea che occuparsi di un piccolo pezzo di terra, prendersene cura nel vero senso della parola – e non nelle modalità proprie del pensiero comune, che non sempre sono le più corrette – è il modo più completo per occuparsi del futuro e del benessere del nostro pianeta e dei suoi abitanti. Tutti.
Quest'anno ho deciso di non raccogliere per nulla le foglie cadute. Sono tutte ancora lì ma molte, come è naturale, si sono decomposte. Peraltro la cosa ha avuto ancor di più un senso perché sia lo scorso inverno che questo appena trascorso qui è nevicato. L'anno scorso moltissimo; quest'anno di meno ma l'ha fatta per ben due volte diverse (ogni anno comunque almeno una spolverata la fa). Il lasciare le foglie in terra, quindi, è stato benefico per il terreno perché nei giorni di presenza della neve lo ha mantenuto più protetto e più caldo: i microorganismi hanno così trovato un ambiente più confortevole dove vivere e proliferare, le piantine e i semi non sono periti sotto la morsa del gelo, la terra ha continuato a riprendersi pian piano, un passettino alla volta.
E' di nuovo primavera e ho deciso di limitare ulteriormente lo sfalcio dell'erba (e sarei dell'idea di non farlo per nulla) mentre i tosaerba di tutto il vicinato ruggiscono già da un mese buono. Inoltre, quest'anno sono euforico per una azione che ho fatto qualche mese, all'ingresso dell'autunno: poco prima che iniziasse la "stagione delle piogge", era all'incirca metà novembre, nel pulire una canaletta di scolo, togliendo le foglie e il terriccio che si erano accumulati vicino alla zona di deflusso dell'acqua piovana, vi ho scovato ben immersa nel limo lì accumulatosi una famigliola di ben sette lombrichi, nei pochi centimetri quadrati della terra che stavo scansando. Li ho presi e ne ho approfittato, con un sorriso a cinquanta denti, per traslocarli nel nostro prato, dopo aver scavato una serie di buchette, in cui li ho adagiati insieme alla fanghiglia che li stava ospitando.
Qualcuno si chiederà il perché di cotanto entusiasmo. Ebbene, al mondo non c'è un essere che sia più importante di un altro, ognuno ha la sua funzione li dove è che è fondamentale per tutta la vita nel suo complesso ma probabilmente il lombrico è uno degli animali che può vincere il campionato di chi ha ha il più basso rapporto "simpatia"/importanza per l'ecosistema: diciamolo chiaramente, a molti di noi (soprattutto molte di noi!) il lombrico risulta un po' ripugnante, però è grazie a lui (e agli altri organismi che vivono nel suolo) se il terreno è caratterizzato da una buona fertilità. E' attraverso il suo "lavoro" nel suolo che questo migliora le proprie condizioni e diventa maggiormente in grado di ospitare, far nascere e sostenere la vita delle altre specie.
Fiero di questa grande azione, ho trascorso l'inverno pensando che la famigliola fosse lì a lavorare per tutti noi al caldo del substrato di foglie che avevo lasciato, ponendo così le basi per far diventare il nostro giardino un pezzo di terra degno di tale nome.
L'altro giorno una grande e lieta scoperta: pulendo lì tra la terra e lo zoccoletto del mattonato su cui poggia la casa, uno di loro è sbucato fuori dalla terra! "Evviva, allora ci siete ancora!", ho pensato dentro di me. Tutto procede per il meglio, quindi! Si sono spendidamente ambientati!



Quest'anno il nostro prato primaverile è ricchissimo di varietà. Tante specie erbacee in più si sono insediate, portate dal vento dalla vicina campagna.
L'occhio e il cuore si rallegrano nel vedere tanta diversità, che è sinonimo di vita. E' un prato pieno di colori e di forme, di specie che si consociano per darsi una mano reciproca, per cooperare e non per competere: tutto quello che c'è è lì per una ragione; non esistono le erbe e le erbacce, esistono solo esseri che fecondano la terra e ne generano nuova vita. Ogni pianta che è nata lì e che noi lasceremo stare, non solo rende più vario e più vivo il giardino oggi ma darà anche il suo apporto per il miglioramento del giardino stesso in futuro, grazie al fatto che la sua presenza attira insetti, animali e altri microorganismi, e consente ad altre piante di vivere proprio grazie al fatto che lei c'è, con le sue radici, con le sue foglie che fanno ombra, con la sua biomassa che produce e che rilascia nel terreno.
Il nostro giardino oggi, a un'osservazione superficiale, può sembrare disordinato. Tuttavia, invece, a differenza degli altri, rispetta l'ordine naturale delle cose.
Sono certo che molti che passano dalle nostre parti guardandolo pensano che i proprietari non ne abbiano cura o che siano pigri e disordinati. Ma la verità è che non c'è nulla di più artefatto – e quindi meno naturale – in natura di un giardino comunemente inteso. Tosaerba, concimi, innaffiamenti automatici e dispendiosi; potature continue e aggressive, raccolta di foglie cadute, caccia agli insetti e prodotti chimici: niente di più distruttivo quando ci occupiamo di un pezzo di terra.
Un pratino all'inglese con l'erbetta tutta uguale alta tre cm è il modo per far sembrare tutto in ordine ma anche di escludere la possibilità che l'armonia meravigliosa – come l'ha definita E. O. Wilson - della vita si manifesti.



Il piccolo abete che avevano piantato davanti casa gli inquilini che ci hanno preceduto ha sempre avuto difficoltà a vivere in questo pezzo di terra. D'altronde, non era il suo posto, con evidenza.
Ha stentato per anni, coi suoi rami molto radi e magri, riprendendosi un po', ne siamo certi, solo nell'offrirsi a noi per gli addobbi natalizi degli ultimi anni trascorsi insieme.
In autunno abbiamo deciso di spostarlo, e di metterlo in una zona dove avrebbe avuto più spazio e più luce per crescere.
Non ce l'ha fatta a superare l'inverno, questa volta. Lo spostamento non l'ha giovato. Però non l'ho tolto. E' ancora lì, grigio e secco nel mezzo del verde brillante dell'erba di primavera, illuminato dal giallo intenso di una ginestra germogliata e cresciuta nel frattempo ai suoi piedi, pianta pioniera colonizzatrice (e preparatrice per altri) di suoli.
La presenza del morto in mezzo all'esplodere della vita può sembrare un ulteriore fattore di incuria da parte nostra.
Ma l'albero che si è reso disponibile a noi in questi anni per festeggiare insieme la festa della vita sono certo che è contento di rendersi utile anche ora, privo di vita, nel mantenere comunque le sue radici immerse nel terreno dove è, a far così da supporto alla nascita e allo sviluppo di funghi e batteri che, silenziosamente e con dedizione assoluta, lavoreranno indifessamente per la terra del giardino e, quindi, per tutti noi.

1 commento:

  1. ps l'erba-moquette del vicino attualmente è completamente sec-ca....pps "entusiasta come solo io so essere" : what's that film ???

    RispondiElimina