martedì 24 settembre 2013

Desideri


Quello che si realizza nella nostra vita è l'effetto del nostro desiderio profondo.
Da anni desidero molto lavorare sempre più in iniziative di più giorni in natura con le scuole superiori e, in particolar modo, coi ragazzi del triennio.
Questo per due motivi, fondamentalmente: il primo, perché se avessero proposto alla mia classe, quando avevo la loro età, di fare un'esperienza del genere, avrei fatto i salti di gioia; il secondo, perché con i ragazzi di quell'età c'è uno scambio importante: cominciano a farsi un'idea propria del mondo ed è importante che comincino anche ad esprimerla, dato che da lì a pochissimi anni occuperanno anche loro un posto più o meno rilevante nella società, che influenzeranno con le loro scelte e decisioni. E dato che siamo in un momento topico della nostra storia, in cui i prossimi 10 anni - forse anche meno - avranno un'importanza fondamentale per la nostra vita su questo Pianeta (e loro saranno quindi i primi a risentirne, nel bene o nel male) è importante che proprio loro - anche più dei bambini di scuola elementare o di scuola media - si confrontino su temi inerenti l'ecologia e la sostenibilità e facciano esperienza in tal senso, direttamente in natura.

Visto quello che ora non esito definire un mio sincero desiderio, nei giorni scorsi ho ricevuto una bella risposta dalla vita, che mi ha dato l'opportunità di vivere un'altra occasione di lavoro (ma lo trovo riduttivo inquadrarla semplicemente così) - breve ma intensa - con una scuola superiore, il Liceo della Scuola Svizzera di Roma, di cui ho accompagnato, insieme a tre colleghi che seguivano le altre classi, la classe quarta. Ragazzi di 17-18 anni quindi, coi quali, manco a dirlo, si è creato, in meno di due giorni effettivi di permanenza insieme nel Parco Nazionale d'Abruzzo, un rapporto, appunto, intenso e veramente remunerativo.
Basti pensare che meno di due ore dopo che camminavamo insieme sul sentiero, in occasione di una pausa su una radura con splendida vista sul lago di Barrea, mentre gli altri gruppi giocavano a pallone o si erano presi un momento di libertà individuale e di gruppo, noi eravamo seduti in circolo, lì in mezzo, a parlare, con grande partecipazione dei 12 maschi e delle 6 femmine presenti, di argomenti quali, sintetizzando al massimo: "i bisogni fondamentali dell'uomo, oggi e nella storia"; "la possibilità e la capacità degli esseri umani di tornare a vivere in maniera più integrata nei cicli naturali"; "le modalità per creare una società più sostenibile"; "l'opportunità di mantenere un approccio utilitaristico nella gestione di alcuni aspetti della nostra vita e della nostra cultura, soprattutto in questa fase di transizione, come, ad esempio, nel caso dello smaltimento dei rifiuti"; "la consapevolezza che, visto che se ne parla, siamo già un passo avanti rispetto al trovare delle valide soluzioni". Insomma, un dibattito aperto, su argomenti tutt'altro che frivoli, e, ripeto, con grande partecipazione da parte di tutti i presenti, che erano lì, per nulla influenzati dal fatto che i ragazzi delle altre classi, ormai - erano le 17 circa - già non più stimolati dai colleghi e dai professori a partecipare a qualche attività di gruppo, avevano ricevuto il "rompete le righe".

Ma cos'è che fa così la differenza?
La risposta, di nuovo, è il nostro desiderio profondo.
Personalmente desidero che i ragazzi che incontro - soprattutto di questa età - si sentano ascoltati e che abbiano la possibilità di esprimersi, in un contesto che è - e deve essere - diverso da quello rigidamente scolastico. E così cerco in tutti i modi che mi sono possibili di mettere in atto la cosa, anche se non mi è formalmente richiesto, ne da loro, ne, men che mai, dai professori che li accompagnano. Poco prima, ad esempio, Giacomo - che accompagna sempre il padre a caccia con la sua squadra di cinghialari e che, al momento della presentazione, mi ha spiegato che era curioso di sapere come la caccia si "relazionasse" all'esistenza dei Parchi e delle Riserve Naturali - ha avuto la possibilità di raccontare davanti ai suoi compagni come avviene una battuta di caccia al cinghiale, con tutti i suoi risvolti, stimolando la curiosità e molte interessanti domande negli altri ragazzi che, forse, se fossero stati davanti al monumento di una grande città illustrato dalla Guida Turistica nel corso del loro viaggio di istruzione "classico", non ci sarebbero mai state, ma neanche nel caso di una lezione a cielo aperto sulla flora e la fauna del Parco.
E mai si sarebbe arrivati a parlare tutti insieme, subito dopo, del fatto se fosse più crudele uccidere un animale in libertà allo stato selvatico oppure la modalità che attuiamo di allevamento intensivo del bestiame per consumare, in maniera massificata, prodotti di origine animale. Mai sarebbe emerso che, in un certo qual modo, anche la caccia di oggi, in alcuni casi, è ancora caratterizzata da una certa etica. Mai sarebbe emersa la riflessione/domanda di Clementina: "ma siamo tutti effettivamente collegati, come le radici delle piante qui intorno a noi?"
In questo, mi impegno a non dar loro risposte "preconfezionate" (o, peggio, ideologiche) anche perché, come ho palesato, non ne ho e questi scambi sono una grande occasione anche per me per imparare. Non foss'altro per stare almeno in contatto con quello che i ragazzi di oggi effettivamente sentono e provano.

Ma, come si realizza, in concreto, tutto ciò?
Non saprei dire altro che, di nuovo, manifestare concretamente il proprio desiderio - se c'è, naturalmente - di ascolto dell'altro e di interesse verso le persone.
Non è facile - ed molto faticoso - ma è realizzabile, se ci interessano veramente le persone.
Un (altro) esempio? Tutti - ragazzi e professori e, in generale, le persone che accompagno - si meravigliano del fatto che riesca ad imparare i loro nomi - spesso 20-25 membri in gruppo - praticamente nell'immediato.
Una super-dote personale? No, il vero mio interesse è far percepire all'altro: "ti vedo, ti considero, non sei un membro qualsiasi dei tanti gruppi che accompagno". In realtà, è una cosa molto impegnativa quella di ricordare all'impronta 20-25 nomi, quando vedi centinaia di persone ogni anno. Faccio molta fatica personalmente, pur non appalesandolo, anche perché non ci sono tecniche per questo. Solo la voglia di impararli nel più breve tempo possibile. "Parafrasando" Einstein (non me ne voglia): non sono particolarmente dotato, sono solo molto interessato al benessere delle persone che porto in giro e con cui voglio e devo creare quindi, anche solo per pochi giorni, un profondo legame.
Legame che spesso dura molto più, come la memoria che, nonostante i tanti gruppi incontrati ogni anno, mantiene vivo il ricordo per anni delle esperienze vissute con loro e, infine, non dimentica i nomi e le facce di chi ha fatto, dentro, la differenza.


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